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“Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia

“Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia: una storia di dolore, rinascita e amore
Il romanzo d’esordio di Roberta Recchia, Tutta la vita che resta, è una di quelle letture che lasciano il segno. Pubblicato da una casa editrice attenta alle nuove voci italiane, questo libro si impone per la forza della sua narrazione, l’intensità dei personaggi e l’attualità dei temi trattati.
Una famiglia italiana al centro del romanzo
Tutta la vita che resta racconta la storia di Marisa e Stelvio Ansaldo, una coppia che vive a Roma dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. I due si conoscono nella bottega del padre di lei e costruiscono insieme una famiglia all’apparenza solida e felice. Hanno due figli: un maschio riservato, che si allontana presto da casa, e Betta, adolescente solare e travolgente, protagonista tragica di questa storia.
Tutto cambia la notte in cui Betta, a soli sedici anni, viene uccisa in circostanze violente su una spiaggia del litorale laziale. Con lei c’era la cugina Miriam, ragazza timida e introversa, anch’essa vittima di un trauma indicibile. La tragedia devasta i legami familiari e trasforma radicalmente la vita dei personaggi.
Un romanzo sull’elaborazione del lutto e il silenzio del dolore
Roberta Recchia affronta con coraggio e delicatezza il tema del lutto per la perdita di un figlio, una delle esperienze più dolorose e distruttive. Il libro esplora i modi diversi in cui i personaggi reagiscono: Marisa si chiude nel silenzio e nella malinconia, Stelvio si allontana emotivamente, mentre Miriam si spezza, portando dentro di sé un peso che non riesce a comunicare.
Una delle frasi più potenti del romanzo – “Non esiste un termine per definire un genitore che perde un figlio” – riassume il cuore della narrazione: l’assenza di parole per un dolore così estremo. Il romanzo riflette su quanto sia difficile convivere con la perdita e su come, spesso, il dolore venga ignorato o giudicato dalla società.
Donne forti e giudicate: un ritratto realistico della società italiana
Uno degli aspetti più interessanti di Tutta la vita che resta è l’importanza del punto di vista femminile. Le protagoniste – Marisa, Miriam, ma anche Emma e Letizia, rispettivamente sorella e madre di Marisa – sono donne diverse, ma tutte segnate da un giudizio costante, spesso crudele, da parte della famiglia e della società.
Betta stessa viene descritta come “spregiudicata”, e il romanzo non esita a denunciare le dinamiche patriarcali che colpevolizzano le vittime. Il tema del giudizio sociale è centrale: sia Marisa che sua figlia vengono tacciate di essere in qualche modo “colpevoli” per ciò che è accaduto.
La rinascita attraverso l’amore e la cura
Nonostante il dolore che permea ogni pagina, il romanzo è anche una storia di rinascita e speranza. Il personaggio di Miriam trova una via per tornare a vivere grazie all’incontro con Leo, un ragazzo di borgata anch’egli ferito dalla vita. Accanto a lei c’è anche Corallina, una donna che riconosce in Miriam lo stesso dolore che l’ha attraversata.
Anche Marisa, nel finale, trova un senso nel suo dolore aiutando Miriam, in un gesto catartico che le permette di fare ciò che non ha potuto fare per sua figlia: salvarla.
Conclusione: perché leggere “Tutta la vita che resta”
Tutta la vita che resta è un romanzo drammatico italiano che affronta temi attuali come violenza, lutto, colpa, rinascita e giudizio sociale con una scrittura potente, precisa e profondamente umana.
Consigliato a chi ama le storie vere, profonde e intime. Roberta Recchia si presenta al pubblico con una voce narrativa matura e consapevole, destinata a farsi notare nel panorama della narrativa italiana contemporanea.
