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Drive In: un cabaret tra antiche comiche, Carosello e sensualità

Per la rubrica ‘Cosa Guardavamo’ torniamo oggi a cavallo degli anni ’80 e ’90

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Drive In

Quando, il giorno di Ferragosto, è giunta la notizia della scomparsa di Gianfranco D’Angelo, inevitabile è stato rievocare uno dei maggiori successi da lui conseguiti nel corso della carriera, ossia l’essere stato tra i principali protagonisti di Drive-in, il varietà per eccellenza della tv commerciale, non solo riferito al proprio arco di tempo naturale, quello degli anni ’80 e dei primissimi ’90.

Tenuto a battesimo da Italia 1 nel 1983 al martedì sera per la regia di Gian Carlo Nicotra, ma presto spostato alla domenica, sua collocazione definitiva e praticamente intoccabile, sotto la guida di un altro storico ex-uomo RAI qual era Giuseppe Recchia e soprattutto di un coordinatore di testi del calibro di Antonio Ricci, Drive-in impressionò subito i telespettatori per lo stile rivoluzionario, rivelatosi assolutamente efficace.

Drive In, perché piaceva così tanto: i motivi del successo

Prima di tutto era una vetrina comico-cabarettistica, affidata per lo più ad artisti già collaudati (come il già ricordato D’Angelo, Enrico Beruschi, i Gatti di Vicolo Miracoli “orfani” di Jerry Calà, passato al cinema, e le coppie Massimo Boldi-Teo Teocoli e Zuzzurro e Gaspare) e ad altri giovani emergenti che erano entrati nel giro milanese (primo tra tutti il piemontese Ezio Greggio).

In secondo luogo, vi era un corpo di ballo quasi esclusivamente femminile, guidato da una procace primadonna (che poteva essere Lory Del Santo, Cristina Moffa, Nadia Cassini, Carmen Russo oppure Tinì Cansino, una fantomatica pronipote di Rita Hayworth) e formato da fanciulle di bell’aspetto che dovevano “forzare” la loro avvenenza, la loro sensualità, con abiti relativamente succinti e ammiccamenti atti a potenzialmente impressionare il telespettatore uomo (era la prima volta che, imposto dall’alto, questo modo di “porgere” da parte delle ballerine e delle figuranti trovava posto sul piccolo schermo).

Infine, un ruolo non indifferente era svolto dal ritmo serrato delle varie scenette e dei monologhi (opera di umoristi anche raffinati quali Enrico Vaime nella prima serie e poi Lorenzo Beccati, Gino e Michele e Max Greggio), che di solito non superavano i cinque minuti di durata: c’erano i blocchi pubblicitari da trasmettere ogni quarto d’ora-venti minuti e quindi più brevi erano gli interventi dei comici, più cose potevano essere presentate tra una serie di telecomunicati e l’altra. In qualche modo veniva così riadattata la formula che era stata per vent’anni del quotidiano Carosello della RAI, solo che lì ogni ditta gestiva il proprio spazio con un minuto e mezzo di varietà e circa trenta secondi del cosiddetto “codino” pubblicitario. Tuttavia la fonte principale di ispirazione era un analogo programma nordamericano degli anni ’60, dal titolo Laugh in

Una vera e propria fucina di talenti televisivi

Massimo Boldi a Drive In
Massimo Boldi a Drive In

Tanti sono stati i comici divenuti famosi grazie a Drive in, anche per i loro personaggi (e talvolta relativi “tormentoni”): ricordiamo tra gli altri l’architetto varesino Francesco Salvi nei panni di un folle e logorroico barista “postschizofrenico”, il sardo Lucio Salis con la celebre frase “Capitto mi hai?”, Enzo Braschi  il “paninaro” con il suo lessico ripreso dai ragazzi del tempo (“Cucador”, “Arrapescion”, ecc.), il trio napoletano dei Trettrè, ma soprattutto l’astigiano Giorgio Faletti nei panni della guardia giurata pugliese Vito Catozzo, primo successo di una carriera poliedrica destinata a sfociare in un trionfo internazionale quale autore di romanzi “noir” e purtroppo a concludersi relativamente presto.  

Infine, come dimenticare la cockerina “Hassfidanken”, deliziosa cagnetta che faceva da mascotte delle prime edizioni di Drive in, comparendo di solito assieme a Gianfranco D’Angelo? Ci piace pensare che l’attore romano, durante il suo viaggio per andare di Là, sia passato dal ponte a riprendersela e che adesso, con tenerezza ed ironia secondo il solito, la stia coccolando. Per sempre. 

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