Libri
Non basta leggere, bisogna saperlo fare
Come sarebbe bello se tutti riuscissero non solo a leggere un libro, qualsiasi esso sia, ma ad entrarci dentro

Manzoni gran cesellatore di tipi e fine umorista. Oggi si crede di fare il miglior elogio d’un libro dicendo che lo si legge, in una nottata dโinsonnia, tutto d’un fiato: e si fa troppo spesso come quei tanti che nella fretta, per paura di perdere il treno, cacciano dentro alle valige gli oggetti alla rinfusa e finiscono col dimenticare quelli piรน necessari.
La lezione di Manzoni, senza scarto alcuno
Circa 400 anni fa Manzoni faceva iniziare la storia del suo romanzo: “Per una delle stradine descritte, la sera del 7 novembre 1628, torna a casa dalla passeggiata don Abbondioโฆ“. Sรฌ. Il capolavoro manzoniano, tesoro di inestimabile valore, torna sempre attuale e ci insegna anche “come” leggere un libro. Da quell’infinito pozzo luminoso si possono estrarre dei veri e propri bozzetti di โtipi e maschereโ che sfilano da protagonisti sulla ribalta, cantati a matita leggera di un profondo colore grigio, a tratti tragico, spesso umoristico.
I Promessi Sposi fanno pensare a certi quadri fiamminghi, nei quali anche i minimi particolari sono curati, come se fossero miniature. Ed รจ vero; ma quanti si pigliano la briga di notarli? Quanti hanno la voglia e la capacitร di entrare nelle “parentesi” e di non saltarle a piรจ pari come fossero inutili spazi bianchi? Non voglio dire con questo che l’interesse del romanzo, o come di altri libri, si concentri negli episodi e personaggi secondari: dico soltanto che senza questi particolari, impropriamente detti di sfondo, il romanzo โ ma direi ogni lettura degna di questo nome – non si potrebbe capire adeguatamente e non si gusterebbe integralmente.
Errate nelle parentesi, perdetevi nello sfondo
Gran merito del Manzoni รจ l’abilitร di muovere la folla – pensate alle scene della confusione del villaggio al “toc… toc…” della campana, o dei tumulti di Milano durante le peste -; ma merito non minore รจ la sicurezza nel disegnare figurine e macchiette in scenari unici, avvolti da un umorismo che fa volare il Lettore sulle piรน alte vette della riflessione. Lโintento, di questo mio studio, รจ di innescare nel curioso Lettore la voglia di andare a ricercare altri “bozzetti a matita” non solo del nostro Don Lisander, e di sfondare parentesi probabilmente per anni rimaste serrate, meditando su quanto sia necessaria la letteratura nella nostra vita. Cos’รจ l’episodio della madre di Cecilia nel romanzo? ร una delle tante scene dolorose a cui Renzo assiste mentre si avvia al Lazzaretto. Una parentesi, dunque: parentesi indimenticabile, di cui troppi di noi probabilmente perseguitati da brutti ricordi di scuola, non sanno gustare interamente la bellezza. L’affetto materno รจ ritratto con una semplicitร che sembra acquistar risalto ancor maggiore dalla sobrietร .
Nulla di accademico o di artificioso. L’immagine finale della falce โ ricordando quella usata da Virgilio nell’Eneide per narrare la tragica morte in battaglia di Eurialo – รจ un irresistibile colpo d’ala: “E che altro potรฉ fare, se non posar sul letto lโunica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? Come il fiore giร rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte lโerbe del prato“.
Nulla nel romanzo รจ inutile, neanche una virgola
E le figure del Griso e del Nibbio, capi dei bravi rispettivamente di don Rodrigo e dellโInnominato? Coscienze vendute: figure assolutamente necessarie al gran quadro, per dimostrare come la malvagitร di chi sta in alto abbia bisogno della criminosa acquiescenza di chi รจ disposto ad ubbidire in qualunque caso. Talvolta in pochi rapidi tratti sono disegnate figurine interessanti, di cui indovinate la mentalitร , l’aspetto e le abitudini attraverso l’abbozzo nervoso, ma sicuro: tali sono Menico, il ragazzino dodicenne messaggero di Agnese e Ambrogio, il campanaro di don Abbondio.
E possiamo aggiungere, fra Fazio e fra Galdino. Ma, chi ben guardi, queste due figurine, piรน ancora che in se stesse, hanno importanza in rapporto ad altre figure di religiosi che ricorrono subito alla mente. Lasciamo stare fra Fazio, simbolo d’ingenua devozione alla Regola. Ma fra Galdino? Vi pare che questo povero frate cercatore sia un personaggio superfluo, egoista, scemo e freddo com’รจ parso ad alcuni superficiali lettori? Nulla nel romanzo รจ inutile, neanche una virgola.
Infierisce la carestia, รจ vero: ma i cappuccini non vanno alla cerca per defraudare e accumulare; sono “come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi“. Che il Manzoni abbia voluto porre in rilievo la differenza tra Fra Galdino e Fra Cristoforo, รจ anche troppo ovvio; ma che Fra Galdino sia una inutile caricatura odiosa, non lโammetteremo mai.
La grandezza di Azzecca-garbugli laddove troppo si divora
L’intelligente riflessivo Lettore, quello che non legge tutto dโun fiato rischiando anche di diventar cianotico e che evita di fare a casaccio la valigia, si รจ certamente accorto che anche nelle “figurine” entra l’umorismo. Che cosa poi sia questo benedetto umorismo del Manzoni, รจ difficile dire; e se mai, ci riuscirร piรน facile capirne qualcosa considerando qualche esempio. Vedete “quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia“? ร l’impagabile Azzecca-garbugli. Di lui quasi tutti ricordano, di preferenza, il colloquio con Renzo. Ma non mi sembra giusto. C’รจ, sรฌ, qualche battuta meravigliosa – “All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle“- ma l’umorismo vero, che spiega il colloquio con Renzo ed altre cose ancora, รจ in quella discussione che si svolge nella sala del convito, dove Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso piรน rubicondo del solito, interpellato sulla vertenza cavalleresca, risponde, o meglio non risponde cosi: “Io godo di questa dotta disputa: e ringrazio il bell’accidente che ha dato occasione a una guerra d’ingegni cosรฌ graziosa“.
E la sfilata continua.
L’umorismo รจ la piรน complessa e la piรน seria forma del comico
Ecco don Ferrante, che, dopo aver dimostrato “con ragionamenti, ai quali nessuno potrร dire almeno che mancasse la concatenazione” (che lezione per certi filosofi!), che la peste non esiste, muore appunto di peste (che argomento contemporaneo!), imprecando alle stelle, “come un eroe di Metastasio“. Ecco donna Prassede, che si regola “come dicono che si deva far con gli amici“, cioรจ si affeziona anche troppo alle poche idee che ha. Ecco Tonio (ricordate la famigliola attorno alla polenta?), il bonaccione dalla furberia contadinesca, che chiede a don Abbondio la collana della sua Tecla. Ecco il sarto del villaggio, al quale, in presenza dell’arcivescovo, non esce di bocca se non quell’insulso “si figuri“; e tanti e tanti altri!
Umorismo, dunque. Ma si puรฒ veramente generalizzare, si puรฒ dar valore universale a una definizione dell’umorismo? Ne dubitiamo. II Pirandello dice che l’umorismo consiste nel sentimento del contrario; ma, a stretto rigore, il sentimento del contrario si riscontra pure nella tragedia. La Chanson de Roland e lโOrlando Furioso, in sostanza, si aggirano sullo stesso motivo: solo lo stato d’animo dei due scrittori รจ diverso. Giovanna d’Arco รจ una figura molto seria, anche da un punto di vista puramente storico; ma George Bernard Shaw ve ne offre, nel suo dramma Saint Joan, una caricatura o quasi. Mi sembra che, senza troppe pretese filosofiche, fosse piรน nel vero Arturo Graf quando affermava che l’umorismo del Manzoni si compone di parecchi elementi: di bontร , di acume, di sentimento che non degenera mai in sentimentalismo. L’umorismo รจ infatti la piรน complessa e piรน seria forma del comico: e per armonizzare tanti elementi cosi disparati e non tradirsi mai, occorreva davvero la genialitร del Manzoni. Ma per essere umoristi di tanta forza e genialitร , l’ingegno e la conoscenza dei difetti umani non possono bastare. Occorre, oltre che una speciale forma mentis, la facoltร che รจ propria solo di pochi tra i sommi: la facoltร di osservare le vicende umane dall’alto, di salire ad altezze vertiginose, non per infierire superbamente contro le debolezze umane, ma per dimostrare, con serena semplicitร , che “i poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni” e che il cuore sa “appena un poco di quello che รจ giร accaduto” e che “si dovrebbe pensare piรน a far bene, che a star bene: e cosรฌ si finirebbe anche a star meglio“.
Come sarebbe bello se tutti riuscissero non solo a leggere un libro, qualsiasi esso sia, ma ad entrarci dentro, quasi a far diventare un tuttโuno fantasia e realtร , anima e corpo, 7 novembre 1628 e 7 novembre 2021, proprio come quando per pochi secondi le sfere dellโorologio allo scoccare della mezzanotte appaiono una sola entitร , musicando con il loro abbraccio i dodici rintocchi del vecchio pendolo.
