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Conosco bene Fedez e gli auguro il meglio, anche se lui non sa che esisto

Caro Fedez, il tuo “album condiviso”, è anche il nostro

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Fedez su Instagram

SPOILER VOLUTO: Alla fine di questo articolo qualcuno penserà che mi dispiaccio solo per quello che mi conviene, che dovrei allora scrivere allo stesso modo se non di più per tutte quelle persone sconosciute che stanno vivendo lo stesso dramma o drammi più gravi. Altri mi diranno che ciò per cui è lecito dispiacersi pubblicamente oggi, nel mondo, non è Fedez. È vero, ma non giusto come non è giusto far esistere a tutti i costi una scala Richter del dolore separando, per presunta meritocrazia, i panni bianchi per cui dispiacersi dai panni neri che non meritano dispiacere. Anche perché è proprio questo il punto: oggi mi dispiace non di più, non di meno, ma anche per Fedez proprio perché è Fedez. Non tale Signor X. ma Fedez, perché lo conosco e perché lui non sa che esisto. Un lato bello, in un momento infelice, di una vita così virtualmente esposta, alla Fedez.


Mi è successa una cosa, ieri sera, guardando le storie di Fedez. Non la prima persona che mi viene in mente se dovessi descrivere cosa mi interessa seguire su Instagram, nemmeno la seconda, manco la 22esima. Per me Fedez è o il cantante o il rapper o il marito della Ferragni e se proprio siamo in confidenza è quello di cui canticchio un buon numero di canzoni. Se me lo chiede Spotify non devo dirlo, Spotify sa. Fedez mi è capitato spesso di apprezzarlo come persona, stranamente proprio quando ero d’accordo con quello che diceva. Fedez mi è capitato però anche di liquidarlo come uno che “con tutti quei soldi certo, bella la vita, facile” o con dei “seh vabbè, parla lui che manco sa cosa vuol dire” o che “ah beh, sicuramente dall’alto del suo attico chissà quanto lo tocca lo sciopero dei mezzi”. Mi è capitato anche di stimare la sua onestà intellettuale che lo ha portato a battersi e a metterci la faccia quand’anche era legittimato a fregarsene delle battaglie non sue e di pensare al tempo stesso che gli faceva tutto comodo purché non si parlasse dell’inchiesta de L’Espresso. In tutto questo, Fedez sta a me quello che io sto a Fedez, nulla in un mare da 13 milioni di follower.

Ma ieri sera mi è successa una cosa, mi sono accorta che conosco Fedez meglio di quanto conosca alcuni miei parenti, e intendo quelli stretti. Che l’abbia voluto l’algoritmo, le sponsorizzazioni, il bombardamento mediatico, il lavoro o il più semplice interesse a farmi gli affari degli altri in un’epoca in cui è così dannatamente facile farsi gli affari degli altri grazie ai social, io Fedez lo conosco. Lui non sa che esisto, ma Fedez lo conosco, e lo conosco pure bene, e mi dispiace per Fedez. Ho vissuto cose, condiviso momenti con Fedez, ma lui non lo sa. Pranzi, cene, merende, maschere di Spider-Man, cabine armadio luminose, Dj Khaled che gli dice “another one”, lui che chiede un saluto a Lebron e Lebron che gli risponde, la prima ecografia di Vittoria, il sorriso fintamente disteso prima di Sanremo, la torta di compleanno a tema Codacons, lui contro Pillon, contro Eleonora Daniele, contro Bocelli. E ancora la prima volta che ha mostrato il suo smalto, tutte le serate passate insieme sul divano con lui e Leone, la notte sul monopattino con Luis, la vittoria all’Eurovision dei Maneskin, l’amicizia con J-Ax, con Rovazzi, con Lauro, la foto con Gigi Hadid, la foto in ascensore il primo giorno di scuola di “Lello”, perché non so da quando ma è Lello anche per me, per non parlare della proposta di matrimonio, della canzone cantata sul lago, del matrimonio stesso, delle frecciatine allo stucchevole romanticismo di sua suocera. Quasi fatico, come forse capiterà anche ad altri, a scindere ciò che ha vissuto lui, ciò che ho vissuto io e ciò che io e lui abbiamo vissuto “insieme”.

L’effetto collaterale di una sovraesposizione quasi patologica e contro la quale anche io ho sentenziato perché “non è sano che questi si riprendano pure in bagno”, e “se un giorno crolla Instagram è rovinato”, e ancora “ma credi che sia così la sua vita? È tutto finto, tutto costruito, ti mostra solo quello che vuole farti vedere”, per condire poi il tutto con “ok lui, ma perché far vivere così anche i tuoi figli?”, “ha venduto l’anima ai social”. Una sovraesposizione che però ben si ambienta in un salotto virtuale abitato da malati di social quali siamo noi milioni di follower, di apparenze, di proiezioni irreali di sé, lobotomizzati incautamente e rinco*lioniti da push, doppi tap, swipe-up e link in bio.

“In questi anni è come se avessi avuto una specie di album dei ricordi condiviso, e solo ora mi rendo conto dell’importanza di aver strappato un sorriso a qualcuno che magari stava affrontando un momento difficile”

Fedez

Succede però che ora, in virtù più che per colpa di quella dannata e condannata sovraesposizione voluta, cercata e amplificata, guardando le ultime storie di Fedez mi sia dispiaciuto molto, come se lo conoscessi, come se glielo potessi dire. E come dispiace a me, dispiace allo stesso modo dentro e fuori dal suo feed a non so quanti milioni di pesciolini social. Non i pesciolini fidelizzati, ma a quelli sprovveduti come me nel mare aperto, dove navighiamo noi indifferenti in compagnia dei buoni, dei cattivi, dei boomer, dei fluidi, degli haters, dei bot. Mi è successo che ho pensato che, nel male, questa può essere un’occasione in cui il mondo social e chi lo abita può fare del bene. Glielo auguro proprio a Fedez che sui social ha messo di tutto e di più e non solo la faccia, che gli ritornino sotto forma di affetto tutte quelle critiche e quei giudizi che ha dovuto fronteggiare proprio per aver deciso di vivere così, alla mercé di tutti. Voglio auguragli un’ondata di affetto virtuale senza il bisogno di doversi necessariamente conoscere per volerlo, senza nemmeno doversi capire o comprendere, senza sapere nemmeno da chi gli arrivi, un’ondata di notifiche d’affetto incondizionato. Questo perché il problema dell’odio social, il problema degli hater, il problema del cyberbullismo sono 3 piaghe di un contemporaneo che di piaghe ne sta scoprendo tante, troppe. E se per ogni volta che ho e che abbiamo intitolato un articolo “Hater attacca Fedez”, proprio in ragione della sua coraggiosa o non coraggiosa scelta di vivere sui social, poter scrivere “Ondata d’affetto per Fedez” sarà un bel modo per raccontare la storia di un momento difficile di una persona che un po’, la storia dei social, l’ha fatta.

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