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La zuppa di inciviltà: il paradosso di chi protesta distruggendo la libertà

La non giustificabile forma di protesta degli “inzuppatori”

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“Inzuppatori” in protesta: il paradosso della lotta contro il cambiamento climatico

Voler rompere l’illusione che il mondo sia in uno stato di sostanziale equilibrio, spezzare l’incanto acquiescente che ci rassicura facendoci credere che non ci troviamo in una condizione di emergenza, bucare quel velo di normalità ingannevole che rende quasi impossibile comunicare i disagi agli uomini, non giustifica il compiere atti incivili della peggiore barbarie. Protestare, alta espressione di democrazia, vuol dire manifestare pubblicamente e solennemente il proprio pensiero per affermare diritti ancora al di là dall’essere sanciti, o per difenderli dagli usurpatori del momento, ma con rispetto verso tutti e tutto.

L’assalto all’arte per attira l’attenzione sui cambiamenti climatici

Il rispetto è il guardarsi indietro come vuole la sua etimologia. Si procede, ed è avanti che si guarda, tutta innanzi è la nostra attenzione, ma il rispetto è quel momento di dubbio, di ricerca, di riflessione che ci ferma un attimo, rendendoci uomini e non bestie. Violentare invece con atti vandalici l’arte, una delle forme più nobili di denuncia, equivale a sferrare una pugnalata alla libertà, alla cultura, all’intera umanità. Durante la rivoluzione francese, il vescovo Grégoire de Blois usò per primo il termine vandalismo per indicare lo scempio di opere d’arte fatte dai rivoluzionari in tutta la Francia. Tale vocabolo incontrò subito molta fortuna e, appena 4 anni dopo, fu inserito nel Dictionnaire de l’Académie Française, divenendo rapidamente patrimonio di tutte le lingue moderne, fino al giorno d’oggi.

I Tedeschi – i Vandali erano di stirpe germanica – si offesero di questa definizione e non tardarono a far notare che non erano stati i loro antenati bensì i Francesi durante la loro rivoluzione i veri nemici dell’arte e della storia. Émile-Félix Gautier, etnografo di Clermont-Ferrand, a fine Ottocento ironicamente – ma non troppo – esclamò che la stupidità di distruggere per il piacere di distruggere poteva essere raggiunta solo da uomini “civili e moderni”, che distruggevano l’arte per la folle idea di cancellare le tracce di un passato detestato

“Una modalità indegna che non può essere giustificata”

Da giorni si susseguono casi inquietanti che definire forse vandalici è sbagliato, ma rischiano fortemente di rientrare in questa orrenda categoria per le modalità adoperate. Il vandalismo è la tendenza a rovinare, distruggere, guastare senza necessità e senza ragione, per gusto perverso o per sciocca e malintesa ostentazione di forza, o anche per incapacità a comprendere la bellezza e l’utilità delle cose che si distruggono. Gli ambientalisti, scatenando gravi fenomeni di emulazione, che stanno imbrattando i capolavori d’arte con zuppe di vari ortaggi, avrebbero anche un motivo per protestare, e cioè portare l’attenzione dei potenti del mondo sui cambiamenti climatici che stanno distruggendo il pianeta, ma la loro modalità è indegna e non può essere assolutamente giustificata dal fatto che i quadri presi di mira siano protetti da una teca di vetro.

Da Van Gogh a Monet: i quadri vittime di un’attacco insensato alla libertà d’espressione

Imbrattare con una zuppa di passata di piselli il Seminatore al tramonto di Van Gogh del 1888 esposto a Palazzo Bonaparte a Roma, gettare purè di patate contro i Covoni al tramonto di Claude Monet del 1890 al Museo Barberini di Potsdam, insudiciare con zuppa di pomodoro I girasoli di Vincent Van Gogh del 1888 alla National Gallery di Londra e La ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer del 1666 al Mauritshuis Museum all’Aja sono gesti che disonorano e infangano in modo indelebile il pur nobile intento dei cosiddetti ambientalisti. L’arte è spesso stata usata per celebrare le gesta dei potenti, per divulgare e descrivere fedi e ideologie, ma non di rado è stata anche un mezzo per criticare istituzioni e costumi, portando testimonianza di impegno politico e morale e di denuncia sociale.

Il paradosso degli “inzuppatori”, che protestano contro la guerra alla Madre Terra, è palese: protestare distruggendo un qualcosa che da sempre è essa stessa espressione di libertà. Follia sarebbe ad esempio protestare contro la guerra lanciando bombe al cioccolato contro il celebre Guernica di Pablo Picasso, attraverso il quale l’artista descrisse l’orrore per il bombardamento della cittadina spagnola da parte degli aerei tedeschi. E così i grandi murales di Orozco, di Siqueiros, di Rivera, che insieme all’amore verso i contadini messicani, espressero protesta contro l’ingiustizia sociale e contro la tirannia e il totalitarismo in generale. Ed ancora le figure di Otto Dix e di George Grosz, che misero in ridicolo le assurdità della società tedesca, ad inizio secolo. Ed infine i dipinti del Goya, simbolo della perenne condanna alle barbarie della guerra.

La lezione di Goya: ritrarre il dolore per insegnare agli uomini a non essere dei più dei barbari

Si racconta che durante la repressione delle rivolte degli spagnoli contro il dominio napoleonico, Goya si recò una notte nel luogo in cui giacevano i corpi dei fucilati e alla domanda del suo accompagnatore sul perché volesse ritrarre quella barbarie, rispose: “Per insegnare agli uomini a non essere più barbari“. Si può dunque protestare facendo arte, costruendo, inventando, scrivendo, raccontando, ma mai distruggendo, neanche col pensiero, ciò che è figlia della libertà dell’uomo. È vero, anche il nostro pianeta è una grande opera d’arte e va difesa come una scultura di Michelangelo, un quadro di Van Gogh, una poesia di Borges, una pagina di Cervantes. Parliamo di un capolavoro, la Terra, dalla grande forza comunicativa, ogni suo soffio cela un messaggio, più o meno chiaro, che spesso rimane silente. Nessuno lo nega, ma c’è modo e modo.

La protesta della street art: costruire e non distruggere

C’è chi lancia zuppa di pomodoro contro la libertà, e chi parallelamente ha accolto di buon grado l’esigenza di innalzare le grida del nostro pianeta attraverso ulteriori forme artistiche, e non distruttive e irriguardose. A entrare in scena sono disegni, colori, forme. Immagini che insegnano, capaci di trasmettere messaggi, di sensibilizzare, di denunciare. Parliamo nello specifico della street art, la quale è stata e continua ad essere affrontata da moltissimi artisti contemporanei che si pongono l’obiettivo di scardinare i vecchi sistemi e alcuni degli orrori causati dalle devianze della società contemporanea. Combattere il grigiore del cemento con la vivacità dei colori, rendendo le città più belle e vivibili e allo stesso tempo trasmettere messaggi in maniera diretta, senza filtri o censure. Il degrado ambientale, le condizioni del lavoro, le ingiustizie, l’inquinamento, la cementificazione: sono solo alcuni esempi di tematiche toccate dalla nuova arte di strada.

La pacifica forma di protesta di Banksy

Provocatori, divertenti, in alcuni casi lugubri, questi artisti, uno su tutti Banksy, prendono spunto dai luoghi circostanti e cercano di innalzare la consapevolezza grazie alla loro potenza immaginifica, cercando di ispirare una vita migliore. Anche l’arte di denuncia più moderna, contemporanea alle associazioni attiviste ambientaliste di Ultima Generazione e Just Stop Oil, ha dimostrato che protestare, dando per scontato una giusta causa, non è distruggere con impertinenza, ignoranza e disprezzo, bensì creare e avere rispetto per chi ci sta intorno. Il rispetto nasce dalla conoscenza, e la conoscenza richiede impegno, investimento e sforzo; purtroppo dalle ultime zuppe ci siamo resi conto di quanto la consapevolezza di possedere un patrimonio artistico di così alto valore sia tutt’altro che scontata.

Spesso questo viene percepito come qualcosa di estraneo, che non ci appartiene, forse perché non lo si conosce e non lo si apprezza per ciò che rappresenta: il luogo della memoria individuale e collettiva, il nostro passato, ma anche l’espressione di quella libertà che spesso guardiamo con occhi distratti e superficiali, ma che tanto ricerchiamo. Uomini che dimenticano, distruggendolo, il proprio passato, principio della storia universale dell’intera umanità, non potranno mai costruire un futuro migliore, né tantomeno difendere Madre Terra dalle quotidiane violenze.

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