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L’emozione di un’opera d’arte è anche in “copia”, ma non per tutti!

L’editoriale di Roberto De Frede

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Ragazza che osserva quadri in pinacoteca

Quante volte ci siamo chiesti se l’opera d’arte ammirata in un museo, in una mostra, in una villa privata fosse davvero l’originale? Se quel quadro avesse davvero il sapore dell’antico oppure fabbricato in un tempo recente con intento di ingannare? Se fosse esatta l’attribuzione del pittore indicato? Ma ci interessa davvero sapere tutto questo – come giusto che sia per i banditori d’asta e per i milionari acquirenti – oppure è un “dettaglio” superabile?

Stendhal non aveva dubbi

Innanzitutto è importante osservare in quale momento della contemplazione del capolavoro ci poniamo la domanda. Di certo questi dubbi non intervengono mai nel tempo in cui i nostri occhi diventano parte integrante della tela, ossia quando la ragione cede totalmente il passo ai battiti del cuore. Mettiamo il caso di trovarci nella Galleria degli Uffizi, meditando il particolare della carezza che Gesù bambino dona sul capo dell’uccelletto nella Madonna del Cardellino di Raffaello: l’emozione estetica percepita dai nostri sensi è incommensurabile, incantesimo puro. Stendhal docet! 

Sono attimi che ci trascinano in un altrove che ci porta fuori dalla realtà e persino dal nostro mondo, per offrircene un altro di cui non siamo né gli autori, né gli spettatori, ma i trasportati dalla visione estatica dell’opera d’arte, “stupiti” come ripeteva Aristotele nella Metafisica, “senza concetto e scopo” come diceva Kant nella Critica del giudizio, “trafitti” come affermava Thomas Mann ne I Buddenbrook e “salvati” dal monotono accadere delle cose del mondo, come sosteneva Dostoevskij nell’Idiota. E se pochi minuti dopo apprendessimo dal direttore del museo che la tela creduta da noi l’originale dell’urbinate fosse una copia? Cosa cambierebbe? Nulla! Perché ciò che abbiamo provato non è scalfibile da nessuna verità tangibile e materiale.

L’estasi è una fuorilegge

Questo avviene perché le vere emozioni, energie dell’io, non hanno alcuna parentela con il nostro pensiero concettuale. Le facoltà razionali tacciono, quasi fossero ipnotizzate dall’irrompere dell’estasi, a sua volta trascinata in qualcosa di estraneo che sentiamo a noi più intimo di quanto non lo sia il mondo che abitualmente frequentiamo. Il momento estatico ignora i concetti giuspenalistici di truffa, copia e falso d’autore; non si preoccupa minimamente che l’attribuzione del quadro sia esatta, purché esso generi in noi le sensazioni della vera bellezza, faccia appello al nostro intimo ideale e ci appaia come simbolo del sublime. Ma le persone che la pensano così, non credo siano in gran numero.

In fondo gli autori siamo noi

Pinacoteca

Con piacere ricordo di un vecchio gentiluomo, proprietario di una galleria privata, che sorridendo rifiutava qualsiasi indagine sulla provenienza e autenticità dei suoi quadri con le parole: “Purché la roba sia buona, non mi curo di saperne l’autore, siamo noi gli autori delle nostre emozioni“. Costui era un filosofo, ormai una rarità. Molti continueranno a vedere solo dei colori versati su una tela o peggio non si accorgeranno nemmeno di quella parete bianca liscia interrotta da un oggetto che si chiama quadro; altri si chiederanno per curiosità soltanto il valore economico, altri ancora rimpiangeranno il costo del biglietto di ingresso nella galleria, e tutti questi probabilmente sono all’oscuro della possibilità di aver mal visto una “copia”. In loro prevarrà l’indifferenza, atroce vendetta che il mondo si prende sui mediocri.

Dunque, il problema non è tanto porsi se stiamo osservando una copia o un originale di un’opera d’arte, ma se stiamo vivendo quell’attimo di meditazione con i battiti di quel cuoricino nascosto dentro di noi, che si chiama anima. Coloro che ne sono sprovvisti, possono guardare tutti gli originali del mondo, ma avranno sempre dinanzi a loro un quadrato colorato impiccato ad un chiodo!

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